Violenza di genere e responsabilità collettiva

Violenza di genere e responsabilità collettiva

Il 25 novembre si celebra la giornata internazionale di sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. I governi e le organizzazioni internazionali sono stati invitati a progettare azioni per informare l'opinione pubblica sul tema. Da un lato l’idea di una giornata predisposta è un rituale di senso dove, mediaticamente, ci si accorge di una condizione drammatica; dall’altro, è una commemorazione bizzarra perché, a differenza di quando si celebra un evento storico, la violazione psichica e fisica ai danni delle donne è praticata tutto l’anno, in maniera sistematica e massiva.

Eppure siamo in Italia, quella nazione europea dove il progresso, lo sviluppo culturale, i diritti sudati e in parte acquisiti dalle donne, i piani politici sulle pari opportunità, la spinta informativa sulla differenziazione tra amore e possessione violenta e mortale e le continue denunce che presagiscono carneficine, dovrebbero aver messo a tacere tali azioni. Se non del tutto, almeno in parte.

Nonostante ciò, i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica rendono noto un quadro informativo integrato sulla violenza contro le donne in Italia che fa rabbrividire e arrabbiare


http://www4.istat.it/it/archivio/206345

Le motivazioni alla base di questo fenomeno atroce sono complesse e molteplici.

La prima da menzionare riguarda l’assenza di un vero piano sistematico di prevenzione che entri in maniera organizzata nelle scuole primarie perché da lì - e ancora prima -bisognerebbe partire. Non basta istituire la giornata del ricordo! Dobbiamo riflettere sulle origini e capire che ciò che accade fra i confini domestici ha radici fuori dalle mura poiché le discriminazioni di genere partono da stereotipie sedimentate nel tempo, dove il femminicidio è solo l’esito atroce di un processo profondo che inizia da forme primarie di generalizzazione.

La costruzione di stereotipi comincia da una condivisione sociale piuttosto rigida e costante nel tempo che tende a riconfermarsi ed è nucleo centrale del pregiudizio.

Le stereotipie di genere non fanno altro che biologizzare, rendere organiche, alcune differenze per un fine unico: il potere, l’egemonia del pensiero maschile. I mezzi di comunicazione tendono a mantenere ferme e ad alimentare alcune stereotipie: la femminilità ridotta a corpi nudi e poco pensanti – figlia di uno sguardo del tutto maschile - l’iper sessualizzazione di immagini di bambine che ammiccano sulle pagine dei magazine, la visione della donna angelicata se madre col neonato in braccio, ecc .

Tali visioni entrano prepotentemente nel nostro immaginario collettivo e si tramandano nelle generazioni predefinendo atteggiamenti e ruoli che costruiscono un pensiero discriminatorio verso il genere femminile. Le discriminazioni di genere, quando vanno in tandem con la mancanza di educazione ai sentimenti e alla capacità di gestire conflitti, diventano poi micce accese che spesso – vedi i dati Istat - con intensità diverse, innescano azioni prevaricanti, intimidatorie, violente, criminali.

Da dove partire?

Non si esagera se si pensa a un piano didattico che comprenda una materia dedicata a questi temi: all’educazione alle emozioni, ai sentimenti, al rispetto e alle pari opportunità. Sin da quando siamo piccoli, entriamo infatti in uno scenario predefinito – basti pensare al colore rosa per le neonate – che da un lato è tradizione e segno riconoscibile, dall’altro inizia a creare generalizzazioni e a chiudere altri scenari possibili anche agli stessi genitori. Anche le fiabe e i film d’animazione spesso generalizzano e attribuiscono in maniera grezza atteggiamenti e ruoli stereotipati. I finali di queste storie sono chiusi a un’unica narrazione: il maschio salvifico emancipa e tira fuori da una situazione problematica il femminile passivo, in attesa, fragile.

bella addormentata
A scuola, in famiglia e in tutte le realtà educative che si occupano di minori è bene aver in mente non solo il 25 novembre come giornata Internazionale contro la violenza sulle donne ma tutti i giorni, nel quotidiano.

 A generare cambiamenti, infatti, non è tanto l’azione legata al ricordo delle prevaricazioni violente verso le donne nella giornata apposita, quanto un diverso approccio alla relazione, attento ai sentimenti che i bambini provano, impegnato a dare forma alle potenti emozioni che loro vivono, interessato a valorizzare esperienze relazionali rispettose e a riprendere quelle prepotenti. Solo sviluppando una traiettoria condivisa, una “genitorialità sociale”, possiamo pensare a bambini che diventeranno adulti non violenti.

 

 

A cura di Francesca Vavassori, Psicologa
www.psicologovavassorimilano.it

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