Genitori e whatsApp: dentro o fuori dal gruppo? Il parere dello psicologo

Genitori e whatsApp: dentro  o fuori dal gruppo? Il parere dello psicologo

È iniziata la scuola! A poco a poco i bambini prendono confidenza con un nuovo inizio; i genitori, come funamboli, tentano di trovare l’equilibrio che concili scuola, lavoro e vita; le insegnanti riprendono in mano i programmi; le città si popolano del solito traffico e tutto rientra nella  routine che contraddistingue l’autunno. In questo scenario, da qualche anno, si inserisce anche la gestione dei tanto discussi gruppi Whatsapp genitori. In molti si chiedono se sia meglio abbandonarli o tollerarli.

Partiamo dall’origine dei gruppi WhatsApp e da come è nata l’idea di formarli.

Il denominatore comune che istituisce la funzione del dispositivo è, nell’immaginario collettivo, l’efficacia e l’immediatezza comunicativa e, ancora prima, l’intenzione di veicolare meglio contenuti, messaggi, informazioni. Qui nasce il primo equivoco.

Che tipo di comunicazione transita nei gruppi? Sono informazioni necessarie?

Sono notizie importanti che non vengono date da altri strumenti scolastici? A scuola, da sempre, si utilizzano i diari per le comunicazioni strettamente necessarie e questo strumento è ancora obbligatorio: le informazioni importanti, dunque, vengono già date alle famiglie. Le comunicazioni tramite il diario rimangono un obbligo per le insegnati e una responsabilità per i bambini.

L’utilizzo dei gruppi virtuali rischia invece di deresponsabilizzarli e di svalutare la funzione stessa del diario, dove i bambini finiscono poi per scrivere in maniera incompleta o errata anche i compiti e le richieste di materiali: nulla di grave se il bambino fosse poi invitato a correggere i propri errori ma spesso sono invece i genitori a correre ai ripari.

Si sa, molti genitori utilizzano il gruppo anche per sopperire alle mancanze dei figli ed evitare così il rimprovero della maestra, alimentando un circuito poco sano per i bambini stessi. 


Pensandoci bene, questo meccanismo, rincorre pensieri di altro tipo: proteggo mio figlio da un rimprovero! Mio figlio deve essere perfetto agli occhi delle insegnanti che lo valutano! Ho il controllo pieno di ciò che accade nella vita di mio figlio!

Eppure i bambini hanno bisogno di sbagliare e di comprendere i propri errori anche attraverso i limiti e le assunzioni di responsabilità. Se questa esperienza viene a mancare, non si fa altro che alimentare un processo di crescita parziale, un’autonomia ridotta, la stessa della quale ci si lamenta: mio figlio non è autonomo! Ci devo essere sempre io a pensare a tutto! 


Ultimamente si assiste a un fenomeno particolare: alcune scuole consigliano ai genitori un utilizzo responsabile della chat, limitandolo alle comunicazioni strettamente necessarie.

Perché? Che cosa si genera di preoccupante e di dannoso all’interno dei gruppi virtuali?

Spesso si utilizza questo dispositivo con leggerezza, si inseriscono notizie lontane dalle comunicazioni scolastiche, si critica l’insegnante, si esasperano piccole problematiche di ordinaria quotidianità. Ciò alimenta liti, rabbia, rancori e incomprensioni perché i genitori - protetti dalla distanza virtuale, dall’assenza della comunicazione espressiva dei corpi vicini - si permettono di dire ciò che non direbbero in una relazione vis à vis.

Ma proprio l’assenza dei corpi, proprio la mancanza delle interazioni emotive viste ed esperite in una relazione di prossimità, crea un gap comunicativo, una interazione parziale, svuotata di un aspetto umano: l’emozione!

Infatti, ciò che contraddistingue la comunicazione umana autentica, lo scambio tra due persone, è la presenza dei corpi e delle emozioni espresse. Il sentire e il vedere che a un’azione corrisponde una reazione autoregola necessariamente la relazione.

Il valore delle relazioni faccia a faccia rimane insostituibile e è da privilegiare. La presenza fisica limita molte discussioni e equilibra gli scambi comunicativi.

Se sollecitare i genitori ad un uso responsabile dei gruppi virtuali può essere utile ma non sufficiente, uscire dal gruppo non è altrettanto risolutivo e neppure semplice: sappiamo bene che ci si trova, senza neppure essere interpellati, in un gruppo virtuale e spesso ci si sente in dovere di restare. Allora cosa fare? Conoscere il funzionamento del dispositivo digitale, comprenderne le dinamiche sottese e cogliere la parzialità comunicativa può aiutare a regolare le emozioni tra i soggetti e può agevolare la differenziazione tra ciò che è del soggetto e ciò che è generato dal dispositivo limitando equivoci e incomprensioni.

A cura di Francesca Vavassori, Psicologa
www.psicologovavassorimilano.it

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