Ci sono, mi vedi? L’adolescenza e l’invisibile: mostra fotografica a Palazzo Lombardia

Ci sono, mi vedi? L’adolescenza e l’invisibile: mostra fotografica a Palazzo Lombardia

Apre lunedì 9 ottobre 2017 a Palazzo Lombardia la mostra fotografica “Ci sono. Mi vedi?”. Più di venti scatti, realizzati da un gruppo di ragazzi del centro semiresidenziale di Neuropsichiatria “Raggio di Sole” nel bresciano, coadiuvati da un professionista. Una mostra che sorprende per la capacità di aprire la mente di chi la esperisce a interrogativi e riflessioni profonde; uno spazio artistico che riesce a portare lo spettatore a porre un pensiero puntuale su un argomento significativo e sentito: l’adolescenza e l’invisibile.

Per capirne di più è doveroso rivolgere qualche domanda a chi da tempo, insieme ai suoi collaboratori e ragazzi, porta avanti questo tipo di riflessione.

Emanuele Frugoni, coordinatore del servizio della Cooperativa Sociale “Fraternità Giovani”, ci dice: la mostra fotografica “Ci sono. Mi Vedi?” nasce dall’idea che si possa utilizzare lo strumento fotografico per raggiungere alcuni obiettivi terapeutici e riabilitativi di un gruppo di ragazzi presi in carico dal nostro servizio.

Con questo progetto, da un lato si vuole sviluppare la capacità e il potenziale creativo insito non solo in chi vi ha partecipato ma in ognuno di noi, dall’altro intende agevolare il lavoro di gruppo seguendo determinate regole di convivenza sociale: la buone relazione tra i partecipanti, il rispetto l’uno dell’altro seppur nelle differenze, la forza di gruppo nel perseguire un obiettivo, la disposizione per gli altri e il potere generativo della coesione. Inoltre, il progetto fotografico ha dato modo ai nostri ragazzi di apprendere alcune tecniche legate all’utilizzo della macchina fotografica.

Perché lo specchio? Quale il valore simbolico?

Direi non solo lo specchio ma anche e soprattutto chi dietro lo specchio si nasconde: l’adolescente. Da qui si è partiti! La difficoltà evidente di queste fotografie - sincronizzare l’immagine riflessa nello specchio facendola coincidere con il resto dell’ambiente fotografato - ha obbligato fotografo e modello a comunicare in modo preciso e funzionale al fine di raggiungere il risultato stabilito.

Quindi, queste opere, sono in primo luogo, un risultato riabilitativo importante per la capacità comunicativa che hanno raggiunto grazie ad un dialogo riuscito tra le parti messe in gioco.

Le immagini inducono anche ad una serie di riflessioni sull’adolescenza. Le fotografie ritraggono ambienti e luoghi classici della vita aggregativa dei nostri ragazzi. I luoghi scelti per gli scatti non sono luoghi “formali” - scuole, famiglia, oratori - sono luoghi volutamente informali della città di Brescia: parchi, centro storico e la periferia.Ambienti scelti dai ragazzi stessi e nei quali spesso si identificano.

Nelle immagini, l’ambiente, lo specchio e il ragazzo creano un gioco d’ambiguità fortemente simbolico: sembra quasi che l’area circostante nasconda, se non addirittura assorba, il soggetto generando un rapporto, una narrazione squilibrata: il luogo sostituisce il soggetto! Così facendo si confonde la persona con il luogo e da qui la domanda: Ci sono. Mi vedi?

Qual è il messaggio che i ragazzi vogliono lanciare?

Le opere parlano di ragazzi mimetici, persone che sfuggono dalla loro personalità perché poco compresa, non capita, sofferente. Spesso sono proprio i più fragili a immedesimarsi, a nascondersi confondendosi in luoghi o situazioni di vita che, forse, hanno scelto o che qualcuno ha scelto per loro: adolescenti che scompaiono agli occhi della società, riapparendo a tratti, ma quasi mai nella loro autenticità e integrità. In molti casi è però l’adulto stesso che guarda attraverso il volto del ragazzo, trapassandolo con lo sguardo e osservando solo la condizione sociale e il contesto, sicuramente più facile da interpretare e criticare.

Nello specchio non si vede mai riflessa nessuna persona, nessuno osserva direttamente questo vuoto, pieno esclusivamente di costruzioni, mattoni, colonne, auto, erba e tanto altro. Riflettersi nel vuoto o nella sofferenza di chi si ha di fronte può essere pericoloso, può fare paura: è un rischio.

Le immagini ritraggono sempre adolescenti da soli, perché?

La solitudine rappresentata in queste foto identifica la condizione di alcuni ragazzi, resi soli spesso dalla sofferenza, dalla malattia o dalla disillusione. Spesso sono ragazzi emarginati, stigmatizzati per una diversità, una fatica manifesta, una sensibilità maggiore. La mostra, proprio lo spazio fisico, permette di stare in relazione, di aprire un dialogo, di contrastare la solitudine. Lo spettatore entra nell’immagine e accompagna simbolicamente i ragazzi in un viaggio alla ricerca di sé.

 

 

 

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