Videogiochi: quali effetti sulla crescita del bambino?

Videogiochi: quali effetti sulla crescita del bambino?

Un, due, tre, stella, Strega comanda color, L’elastico, La Campana: pare sia passata un’eternità eppure solo una manciata di decenni separano i giochi di ieri da quelli di oggi. Nella società digitalizzata e della dematerializzazione, anche il gioco ridefinisce i suoi confini rincorrendo principi di individualità e di immaterialità:

il videogioco diviene strumento inseparabile e imprescindibile della nuova generazione di figli definiti nativi digitali.

Le nuove tecnologie sono entrate a pieno regime nella vita quotidiana di tutti: adulti, adolescenti e bambini; se appare quasi impossibile immaginare un adulto senza il suo dispositivo elettronico portatile, sembra ancora meno possibile prefigurarsi un bambino senza una Play Station, una WII o una PSP.         

Chi sono i nativi digitali?  

L’espressione si è diffusa in Italia dopo il 2001 con la pubblicazione del libro “Digital Natives, Digital Immigrants”, dello statunitense Marc Prensky. Nel libro, lo scrittore accosta la parola digitals -relativo agli strumenti informatici-  a quella di native, cioè nativo, indigeno. I nativi digitali, nati e cresciuti in corrispondenza della diffusione massiva dei dispositivi elettronici informatici, sono quegli individui che non hanno vissuto il passaggio dal mondo non tecnologico a un sistema ambientale fortemente colonizzato dai nuovi “miti” informatici.

Cosa cambia nello spazio gioco del bambino?

Partiamo da un concetto di base del gioco che Jean Piaget , uno dei padri della psicologia dell’età dello sviluppo, ha sintetizzato così: “il gioco è la più spontanea abitudine del pensiero del bambino”.

Piaget definisce il gioco come il marchio che contrassegna lo stadio pre-operatorio, la fase evolutiva del bambino che va dai 2 ai 7 anni, durante la quale lo spazio ludico è nel pieno del suo esordio e della sua espressione.

E’ il tempo del gioco per apprendere e soprattutto per simbolizzare cioè rappresentare interiormente gli oggetti e le situazioni esterne, per esempio: il bambino che indossa i panni della mamma e dà il biberon alla bambola, il papà al lavoro, che guida la macchina, e così via.

Qui il concetto di finzione contraddistingue il gioco ed è importante che il bambino abbia il tempo  per simulare attività di routine. Senza questo tipo di esplorazione egli non svilupperebbe  la capacità di utilizzo del simbolo, l’abilità di narrare,  di confrontarsi tra pari e definire  ruoli sociali e  regole di gruppo.

Da quando il digitale  è entrato nel “tempo-gioco” dei bambini e con esso il videogioco, si è generato un gran dibattito: se vietarne l’utilizzo, se fissare un tempo  limite d’uso, se includerlo nelle normali attività di gioco dei più piccoli.

Emergono punti di vista differenti tra genitori ed esperti: ciò che si solleva è la necessità di sensibilizzare gli adulti verso scelte consapevoli del tipo di videogioco, del suo tempo d’utilizzo ma soprattutto di ricondurre lo sguardo dei grandi ai tempi dei loro giochi, per comprenderne le potenzialità sopracitate.                                                                                   

Quali rischi sui bambini? 


Il primo rischio è la modalità stessa di gioco: l’assenza dell’altro. Anche se alcuni videogiochi coinvolgono più bambini, l’interazione di gruppo e di concertazione tra pari, al fine di stabilire ruoli e regole, viene amputata. L’abilità di sviluppare empatia non viene agita, cioè il bambino non è stimolato a immaginare il vissuto e i pensieri dell’altro.
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Il secondo rischio è legato alla dipendenza. Sappiamo bene che la maggior parte di questi giochi, proprio per la loro struttura – una rincorsa continua tra difficoltà da superare e premi da conquistare – non danno modo al bambino di autoregolarsi e di fermarsi da solo. Non a caso si parla di videodipendenza. Un valido esempio è lo studio fatto dallo Hammersmith Hospital di Londra sul cosidetto “sparatutto”, un videogioco di guerra: nel cervello avviene un incremento della produzione di dopamina, il neurotrasmettitore che causa l’accelerazione del battito cardiaco e l’innalzamento della pressione del sangue e che agisce sulla ricerca di nuove ed intense emozioni.

Il terzo rischio è legato alla desensibilizzazione dei bambini nei confronti della violenza. Secondo Manfred Spitzer, neuropsichiatra esperto in materia, i genitori dovrebbero scegliere i videogiochi valutando anche se e quante volte nel gioco ci sono feriti, se ne consegue un premio, se il dolore altrui viene ridicolizzato.

Un ultimo rischio è quello legato all’assenza di movimento: i bambini che trascorrono ore davanti agli schermi rallentano lo sviluppo motorio.

Quali sono le possibili strategie per evitare questi problemi?


E’ fondamentale che un adulto sia consapevole di come il suo bambino trascorre il tempo-gioco e che si ponga alcune domande utili per costruire uno spazio ludico sano: quanto tempo davanti a un videogioco? Quale tipo di gioco elettronico? Quali immagini? Qual è il senso e la dimensione realmente ludica? Quanto tempo passa da solo? Quanto tempo trascorre con gli altri mettendo in gioco il simbolo, il confronto tra pari, le regole, la fantasia?


Porsi domande è un’occasione per partecipare attivamente e con responsabilità al percorso di crescita dei più piccoli.

 

Foto credit Seth Werkheiser

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