Le quattro fasi del linguaggio grafico infantile

Le quattro fasi del linguaggio grafico infantile

Disegnare è comunicare! Non è certamente cosa nuova sentir parlare del disegno come forma di comunicazione, ma conosciamo davvero le cause che spingono il bambino in così tanta produzione spontanea? L’intento, in questa breve panoramica, è di descrivere le diverse fasi di sviluppo del disegno infantile.   
Il disegno è uno degli strumenti più utilizzati dai bambini per rappresentare ciò che conoscono e osservano del mondo reale, per esprimere ciò che sentono e per esplorare abilità cognitive. Molti studiosi hanno dato enormi contributi alla comprensione del mondo grafico infantile: si può parlare con assoluta certezza di disegno come strumento utile per far emergere parti interiori di sé; si può dire che il disegno infantile è uno strumento importante per proiettare conflitti e paure; si può definire il disegno dentro un percorso evolutivo grafico che segue fasi precise.

Iniziamo da quest’ultimo punto e vediamo quali sono le quattro fasi evolutive del disegno infantile secondo gli studi di  Geogers-Henri Luquet, storico e filoso francese, autore de 'Le dessin enfantin', e secondo i contributi di Margaret Lowenfeld, pediatra e pioniera  della sandplay therapy.  Loquet definisce il disegno infantile come funzione essenziale rappresentativa: il bambino mosso da un’intenzione realistica è interessato prevalentemente ai disegni figurativi.

Realismo fortuito (tre anni): così definito perché in modo fortuito, disegnando, il bambino nota, tra i grovigli di linee, una qualche somiglianza tra la forma di un suo prodotto grafico e la realtà esterna. Queste immagini s’impongono fortemente all’attenzione del bambino. Qui s’intravede una delle prime forme scovate dal bambino: l’omino, ovvero la rappresentazione della figura umana tutto testa e gambe. Non c'è da stupirsi se il primo soggetto riprodotto sia proprio l’uomo: la figura umana è e sarà uno dei soggetti protagonisti lungo tutto il periodo del disegno infantile.

 Realismo mancato (dai tre ai cinque anni, circa): è la fase in cui s’impone l’immagine intenzionale. Tuttavia, il bambino deve fare i conti con inevitabili e necessarie difficoltà evolutive. In questo stadio il piccolo è completamente teso alla rappresentazione realistica ma spesso non riesce a raffigurare quanto desidera. Ciò è dovuto a impedimenti evolutivi che l’adulto è bene che conosca. Tendenzialmente in questa età il bambino ha difficoltà a controllare perfettamente il suo andamento motorio, a fare sintesi a ad avere una visione d’insieme, il che determina inevitabili sproporzioni. Inoltre, intervengono intoppi di ordine psicologico, come l’attenzione discontinua ed esauribile. In questo periodo è importante che l’adulto accompagni la crescita evolutivo-grafica del proprio bambino senza porre pressioni giudicanti o correzioni svalutanti. Ricordiamoci che il proprio figlio si trova in una fase evolutiva dove le limitazioni sono dovute al parziale sviluppo di alcune abilità che nel tempo si acquisiranno. Ciò che sembra un errore, non lo è.                                 Secondo M. Lowenfeld:
“la modificazione e il miglioramento del risultato artistico verranno automaticamente, quando si sarà verificato un mutamento nel modo di pensare, di sentire e di percepire del fanciullo”.
Come reagiscono i bambini in questo stadio? Alcuni sostano con pazienza nella frustrazione della non riuscita, altri desiderano conferme, altri ancora chiedono ad un adulto di fare al posto loro, alcuni agiscono con rabbia strappando addirittura il foglio. Creare un clima d’ascolto attivo e di non giudizio può determinare le reazioni dei bambini alla frustrazione nel qui ed ora e può essere una buona “palestra” emotiva utile per la gestione di frustrazioni “altre”.

 Realismo intellettuale (tra i cinque e gli otto anni): questa è la fase più affascinante e soddisfacente per i protagonisti del disegno. Superati gli ostacoli che impediscono una rappresentazione vicina al reale, il bambino definisce ciò che raffigura come fortemente rassomigliante alla realtà poiché contiene tutti gli elementi essenziali per identificare un oggetto. E’ il realismo intellettuale, differente dal realismo visivo che caratterizza l’adulto. Infatti, per l’adulto ciò che rassomiglia alla realtà è quasi una fotografia del reale; per il bambino i tratti distintivi di un oggetto lo determinano come reale. Gli elementi reali devono essere rappresentati anche se non visibili e da qui si comprende il perché di personaggi visibili oltre le mura di una casa e di alberi sdraiati lungo prospettive surreali. L’errore diviene fascino. Per Loquet il realismo intellettuale può rappresentare anche immagini presenti solo nella mente del bambino. Tuttavia il potere riconosciuto dal bambino in questa fase è quello di riuscire a comunicare e rendere identificabile il suo oggetto a tal punto da adottare forme canoniche, vicine cioè ai modi in cui quelle forme sono codificate: le automobili raffigurate di lato, le giostre viste dall’alto, la figura umana in piedi di fronte. Ancor più evidente in questa stadio come il tratto grafico reso in forme dettagliate voglia essere comunicazione, linguaggio.
Secondo la Lowenfeld, in questa fase definita da lei schematica, il bambino disegna ciò che sa di quell’oggetto mediante schemi affettivi: la rappresentazione dell’oggetto è correlata al grado di conoscenza che il bambino ha di quell’oggetto.

Realismo visivo (tra gli otto-nove e gli undici, circa): gradualmente, al realismo intellettuale si fa spazio quello visivo. In questa fase al bambino non basta solo rappresentare gli oggetti ben dettagliati sul foglio ma intende trovare una relazione tra loro, un punto di vista univoco. Non a caso il bambino inizia ad omettere particolari che prima rappresentava nonostante le regole prospettiche e i principi di logica: qui il bambino impara a conformare gli schemi grafici all’apparenza visiva. Questi cambiamenti avvengono con il progredire della capacità d’attenzione e di osservazione e con l’affinare il controllo motorio nei movimento gestuali. La conquista del realismo visivo non appare affatto lineare, immediata, anzi si nota spesso il ritorno a manifestazioni di realismo intellettuale. Secondo Lowenfeld, che definisce questa fase “stadio realistico”, l’attenzione del bambino per il particolare è un indicatore emozionale: i dettagli divengono corredo di un motore di conoscenza affettiva di ciò che si rappresenta.

La psicologia clinica, negli anni, ha integrato l’enorme contributo lasciatoci dal filosofo francese e dalla pediatra inglese con l’assunto che definisce il disegno infantile un vettore comunicativo altamente rappresentativo di mondi interiori. Non a caso nel percorso relazionale clinico il bambino si rapporta allo psicologo non solo con la parola e il gioco ma soprattutto con il disegno. Infatti, nel corso del tempo, la testistica psicologica ha integrato test sul disegno infantile. Non soffermandosi troppo su tecnicismi di settore credo sia importante sottolineare come la produzione artistica dei bambini sia una spazio necessario, da proteggere, da integrare poiché ha la funzione di sviluppare non solo abilità grafiche e cognitive, attenzione e concentrazione, ma è canale espressivo emotivo unico.
Si può pensare al disegno come linguaggio? Si, nel disegno il bambino racconta ciò che per lui è importante: le sue fantasie, i suoi desideri e bisogni. Inoltre il disegno assume valore catartico, liberatorio di esperienze negative, paure reali e fantasie mostruose, perché è un tentativo di emersione delle parti intollerabili del mondo interiore: vedere ciò che non ci piace su un foglio è un modo per prenderle distanza ed esorcizzare ciò che di noi e in noi ci inquieta.
“Il disegno è una sorta di oracolo che rivela abilità motorie, capacità percettive, orientamento nello spazio, o anche aspetti più prettamente intellettivi, come doti mnemoniche, conoscenze…è rivelatore altresì di atteggiamenti affettivi o di tratti specifici del carattere”. (Quaglia R.)

“L’uomo primitivo si serve del disegno (picture-writing) come mezzo d’espressione dei propri pensieri. Il bambino oggi disegna mosso dallo stesso motivo. E’ un modo di rendere manifeste le proprie idee. In questo senso è un linguaggio.” (Goodenough F.)

 

Francesca VavassoriFrancesca Vavassori è Psicologa iscritta all'Ordine degli Psicologi Lombardia. Oltre alla formazione in Psicologia si è laureata in Scienze dei Beni Culturali ad indirizzo storico artistico. Dall’inizio del suo percorso di studi si è orientata alla conoscenza della relazione tra psicologia e immagine.

Contatti: Tel: 329-0738734 e-mail: info@psicologovavassorimilano.it
www.psicologovavassorimilano.it

 

 

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