Milano illuminista ovvero l’orgoglio di una città che attirava i turisti stranieri

Milano illuminista ovvero l’orgoglio di una città che attirava i turisti stranieri

Ora che è finito Expo, si cominciano a fare i primi bilanci di una manifestazione, forse deludente sul piano dei contenuti. E non molti effettivamente sono stati, a detta degli ultimi sondaggi, i turisti stranieri venuti proprio per vedere e scoprire tutte queste meraviglie dal mondo. Ma c’era un tempo in cui Milano era veramente una tappa obbligata per i “forestieri” che si spingevano dalle fredde brume nordiche per venire a vedere la luce dell’Italia, allora forse molto retrograda, anche naïf ma proprio per questo molto più vera!

Ed è questo il senso del racconto di oggi: cercare di descrivere ai nostri ragazzi come doveva aver visto un viaggiatore straniero la città del passato, soprattutto nel Settecento. Stiamo parlando del secolo per antonomasia del viaggio in Italia.


Milano era uno di quei centri in cui si poteva respirare aria nuova, insieme, per altri versi a Napoli, e all’inossidabile Roma. Il viaggiatore considerava la nostra città un centro sempre più vivace dal punto di vista intellettuale, culturalmente avanzata, dotata di uno spiccato senso di ospitalità, priva ormai degli accenti di fanatismo che aveva caratterizzato la stagione spagnola. La nuova gestione politico-amministrativa austriaca, fin dal primo quarto del secolo XVIII, accentua i riferimenti culturali e artistici con il mondo mitteleuropeo, in verità, più per promuovere il senso di appartenenza all’impero asburgico che per reale apertura alle nuove idee illuministiche. La sonnacchiosa città del XVII sec. si sveglia dal lungo letargo con il Caffè dei Verri, Beccaria, Boscovich.

La città visitata dai primi viaggiatori del Settecento non superava di molto i centomila abitanti e le sue mura con la cinta stellata intorno al Castello, sembravano comuni a molte altre città italiane sotto la dominazione spagnola, soltanto troppo ampie per il numero effettivo dei suoi abitanti. Città e campagna si mischiavano ancora all’interno del centro abitato, soprattutto via via che ci si avvicinava alle porte urbiche. Infatti, fino alla metà del secolo XVIII, il fitto dell'agglomerato urbano, ancora di matrice gotica (con la raggiera di strade principali dei sestieri, serviti poi da lunghi vicolo stretti e umidi), rimane compreso entro la cerchia interna dei Navigli; le tipologie edilizie sono ancora quelle dell'impianto medioevale, con edifici stretti e lunghi che si sviluppano su corti interne e prospettanti su tortuosi e irregolari vicoli. I grandi palazzi dell'aristocrazia, come ci raccontano gli stranieri di passaggio, in primis Stendhal, sono relativamente numerosi rispetto alle diffuse dimore del ceto medio borghese.

Nel corso del secolo, la nuova amministrazione adegua la città alle esigenze di un agglomerato moderno, dalle dimensioni e dallo spirito europeo, con provvedimenti attenti sia all’aspetto di igiene pubblica che sociale. Nel 1728 Montesquieu ci introduce, ed è uno dei primi in questo senso, nelle famiglie dell'aristocrazia milanese: i Borromeo, i Trivulzio, gli Archinto, i Loano, che egli conosce di persona e che visita anche nelle rispettive residenze fuori città. Le sue descrizioni sono molto dettagliate e da queste appare subito chiaro il lusso sfrenato in cui viveva la nobiltà del tempo, per niente parca rispetto al mito di una vita lontana dallo sfarzo e dall’ostentazione della Milano asburgica. Anzi si infittiscono i "salotti" e i circoli dove l’aristocrazia accomodatasi sullo sgabello del nuovo padrone fa sfoggio delle nuove ricchezze accumulate non tanto dai titoli ma dai proventi agricoli delle proprietà terriere ora sottoposte al regime del nuovo catasto teresiano: la nobiltà fondiaria (laica ed ecclesiastica) sottoposta agli stessi obblighi retribuitivi cui erano soggetti gli altri possessori di terre, viene ora incentivata a mettere a reddito i fertili terreni di pianura, fonte di nuova ricchezza.

nella foto: Il parco all'inglese di impianto settecentesco della Villa Reale o Belgioioso di Milano (foto gentilmente concessa da Marco Introini)

 

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