Mensa ed educazione alimentare in una scuola pubblica che divide
Conosciamo il fatto di cronaca: alcuni orrori normativi hanno consentito alla sindaca di Lodi, nel rispetto delle leggi vigenti, di negare il pasto in mensa a circa 200 bambini. In seguito alla diffusione della notizia, è scattata la gara di solidarietà, in breve tempo sono state raccolte decine di migliaia di euro e così la politica, accortasi dello scivolone, ha cominciato a cavalcare l’autogol altrui: i rivali hanno lanciato petizioni e gli “alleati” si sono detti disposti a rivedere la decisione perché “i bambini non si toccano”.
Prima di saltare alle facili conclusioni e di pensare al ritorno in mensa dei piccoli esclusi come a un pacificante lieto fine, occorre estendere lo sguardo oltre le implicazioni politiche, sociali, umane ed economiche, fino a riflettere su ciò che più attiene alla scuola e cioè sull’educazione e sulla didattica: a essere “toccati”, infatti, non sono stati solo i bambini; è stata toccata la scuola pubblica ed è stata attaccata tutta la comunità educante.
La mensa è “scuola” o “pausa”?
Sebbene il Miur insista, almeno sulla carta, sull’importanza dell’educazione alimentare, l’evento di Lodi si è potuto verificare perché la mensa è ancora oggi, paradossalmente, un “servizio accessorio”, cioè non è riconosciuta a tutti gli effetti come parte integrante della didattica.
La contraddizione è grave: nelle Linee guida per l’educazione alimentare, infatti, il Ministero stabilisce che “il cibo deve unire e non dividere”, che la scuola è “il luogo di elezione per svolgere un’indispensabile azione preventiva con iniziative di Educazione Alimentare” e deve “educare a una adeguata alimentazione per favorire sani stili di vita nelle popolazioni pensando, in particolare, alle categorie più deboli e più esposte.”
Il documento contiene molti altri passaggi significativi, che sarebbe lungo citare qui. Il punto, comunque, è chiaro: finché il pasto condiviso non sarà a tutti gli effetti riconosciuto come parte integrante della vita scolastica ed educativa, l’educazione alimentare resterà solo sulla carta e queste discriminazioni saranno destinate e ripetersi.
Dalla parte della scuola
In questi giorni appare chiaro come il cibo non sia solo una somma di nutrienti ma un linguaggio potente, capace di unire o di dividere.
Gli insegnanti di Lodi hanno avuto il compito inaspettato di aiutare i bambini a decodificarlo. Ci saranno riusciti? Come avranno fatto a contenere l’angoscia non solo degli esclusi ma anche dei privilegiati, invitati a sedersi a tavola serenamente e a gustarsi il pranzo quando i loro amici venivano espulsi dalla mensa e allontanati per mangiare altro altrove? Quali domande e quali emozioni avranno dovuto accogliere? Quanto tempo ci vorrà prima che i loro alunni possano dare un senso a questa esperienza che li ha separati e messi sotto i riflettori? L’educazione alimentare, oggi, è anche questo. È difficile pensare che si tratti di un accessorio.
"La cucina non è solo un gioco o un passatempo: è una cosa seria, un'attività di grande valore educativo e affettivo, alla portata di ogni famiglia, che fa bene sia ai bambini sia a noi genitori"
Di Federica Buglioni
Foto di Philippe Put