A Natale puoi? Il diritto di rispettare il proprio sentire durante le festività natalizie
Che cosa accade? Che tipo d’immaginario coinvolge e connota tanto negativamente quanto positivamente le festività natalizie? Proviamo a capire il meccanismo che alimenta tale malessere.
Partiamo dal principio e da un’analisi psicosociale di ciò che accade nell’ambiente e nell’uomo durante le festività natalizie. Logiche capitalistiche, consumismo e condizionamenti sociali votati all’immaginario della famiglia perfetta si sono impadronite di noi tutti e hanno infettato il valore simbolico del Natale e del Capodanno. Eppure nelle origini di queste feste ci sono significati diversi, profondi, simbolici di nascita-fine-rinascita, quasi a volerci permettere di rivivere e assolvere l’intero ciclo della vita in pochi giorni; giorni imbevuti di significati dinamici e attivatori di profondi movimenti inconsci: il Natale riporta ogni anno in auge il tema della nascita, il Capodanno quello di fine e inizio.Soprattutto quest’ultima festività è foriera di aspettative nuove, buoni propositi, desideri da perseguire, doveri, fatiche.
Con esse compaiono riflessioni e vissuti riconducibili alla fine di un anno, di un ciclo e di situazioni che si vogliono cancellare, di rimorsi, di rimpianti: vita e morte s’incontrano e in poche ore iniziano a dialogare e a confluire l’una nell’altra. Un impatto emotivo non da poco per l’uomo.
Natale e Capodanno sembrano avere perso questi valori, cosa che accade quando i simboli s’impoveriscono, si svuotano di contenuti profondi e possono divenire altro, passibile di appropriazione altrui. Sintetizzando, si può dire che quando il simbolo non è vivo, non è nutrito da più significati, spesso opposti e a volte poco visibili, tende a divenire segno.
Qual è la differenza tra simbolo e segno?
Il simbolo, che in greco significa “mettere assieme”, non evoca l’esistenza immediata ma una realtà altra, che comprende più significati, spesso poco chiari e inconsci. Il segno invece designa la relazione tra significante e significato: comunica, informa, è quel che è nell’immediato. Un esempio chiaro di differenziazione tra segno e simbolo può essere sintetizzato dall’immagine di un cartello stradale: lo stop. Esso informa e comunica quanto è il suo significato diretto ma se si sogna uno stop, ecco che quel cartello assume un valore, dei significati più profondi, diversi, che comunicano ben altro. Per lo psicoanalista e psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, il simbolo è qualcosa di vivo solo e se mantiene una carica tra opposti, tra parte conscia e parte inconscia. Il simbolo non è il significato ma qualcosa di dinamico, in cui l’uomo proietta parti di sé spesso poco consapevoli.
Dopo questa digressione complessa ma necessaria, si può tornare alle simbologie relative alle festività e si può dire che oggi il Natale e il Capodanno escono dalla dimensione simbolica, da quella dimensione di significati profondi di nascita e morte, di fine e inizio, per essere ri-significati e caricati d’altro: aspettativa di una felicità statica e costante, cambio di abitudini, consumi eccessivi, cambio d’alimentazione, senso del dovere, costrizioni.
I vissuti emotivi dei soggetti dialogano castamente con l’esterno e non possono prescindere da un mutamento sociale stravolgente e consumato in poche settimane. Le città cambiano, si caricano di addobbi, luci, decorazioni - segni quindi - che necessariamente catapultano il soggetto in una dimensione diversa. Anche gli interni cambiano, per volere o per dovere, e la casa sposa le pressioni sociali, muta. La rincorsa ai regali accelera i tempi dell’uomo, li sovraccarica di pensieri e la scelta è spesso centrata sul dover fare per forza e poco orientata verso l’altro. Il consumismo spinge l’acceleratore sovraccaricando i negozi, le strade, i media e i messaggi diretti riconducono solo ed esclusivamente a idee di felicità, serenità, di unione famigliare, d’amore.
È davvero possibile sentirsi bene durante le festività?
A fronte di questa pressione sociale, i modi di reagire, in linea con la complessità dell’uomo, sono tra i più disparati, a seconda della vita di ciascuno, degli stati d’animo, delle storie personali, del ricordo di Natali passati e così via.
Certo è che i messaggi mediatici portano inevitabilmente il pensiero e l’emotività sulla propria condizione famigliare, su chi ha o meno una famiglia, su com’era e com’è ora, sul pranzo con chi a volte non si vede da tempo e con chi non si ha particolarmente voglia di vedere.
Il Capodanno, nuovamente, mette in moto i pensieri su ciò che è stato e su ciò che sarà nuovamente, obbligando il soggetto a trascorrere una serata “indimenticabile” nella quale per forza ci si deve divertire. Succede spesso che s’indossi una maschera e ci si uniformi alle aspettative indotte dalla forzatura sociale. Dietro quella maschera, però, spesso si sta male e si vivono sensi di colpa per una dissonanza emotiva con il mondo. Pensieri e domande ricorrenti attanagliano la mente dei più fragili ed evocano domande che, come un mantra, non lasciano spazio di libertà: perché tutti sono felici e io no?
Perché mi sento triste mentre gli altri sono felici? Perché non ho voglia di festeggiare?
Penso sia onesto e doveroso rispettare il proprio sentire e comprendere quanto le emozioni e i sentimenti siano contaminati da una condizione esterna che mette a dura prova chiunque, anche chi una stabilità emotiva ce l’ha. Questo modo di intendere il proprio malessere, questa chiave interpretativa sana, permette di spostare il focus dei problemi: a soffrire non è più solo il singolo, in quanto soggetto “rotto”, che non va, che non è come ci si aspetta, ma una società eccessivamente richiedente e manipolatoria, che veicola messaggi di felicità che hanno un fine superficiale, lontano da quello morale ed etico.
A cura di Francesca Vavassori
Francesca Vavassori è Psicologa iscritta all'Ordine degli Psicologi Lombardia. Oltre alla formazione in Psicologia si è laureata in Scienze dei Beni Culturali ad indirizzo storico artistico. Dall’inizio del suo percorso di studi si è orientata alla conoscenza della relazione tra psicologia e immagine.
Contatti: Tel: 329-0738734 e-mail: info@psicologovavassorimilano.it
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