Secondo studi recenti, i bambini vedono mediamente uno spot sul cibo ogni cinque minuti passati davanti alla tv. La notizia riporta a galla il problema irrisolto del rapporto tra marketing e infanzia, specie quando l’oggetto della comunicazione è il cibo scadente, il junk food. Dobbiamo permettere che venga pubblicizzato nei programmi per bambini e attraverso applicazioni e giochi on line, che oggi sono il canale preferenziale di questi messaggi?

Serve una legge? Come si comportano gli altri paesi?

L’autorevole sito Foodtank ha analizzato le normative applicate in diversi paesi che hanno deciso di stabilire regole chiare. Si scopre così che la regione canadese del Quebec è stata una vera apripista: nel 1980 ha vietato la pubblicità di junk food rivolta ai minori di 13 anni. L’efficacia della norma è documentata: da quell’anno, nella regione, il tasso di obesità infantile è in calo, mentre è costantemente aumentato nel resto del paese.

Il Cile vieta gli spot di junk food in qualsiasi programma dove almeno il 20% dell’audience è composta da minori di 14 anni. Il divieto comprende anche la produzione di gadget, fumetti o cartoni animati collegati ai prodotti. Insomma, niente Happy Meal (regola valida anche a Taiwan).

Norme simili esistono in Irlanda se il 50% dell’audience è composta da minori di 18 anni. Qui le celebrità non possono diventare testimonial di prodotti destinati ai bambini.

Le restrizioni maggiori esistono in Norvegia, dove è vietata qualsiasi forma di pubblicità o azione di marketing volta a promuovere il consumo di cibi e bevande non salutari tra i minori di 16 anni.

E in Italia? L’anno scorso, in occasione di Expo, il nostro governo ha emanato nuove “linee di indirizzo” che sono state sottoscritte da molte associazioni di produttori, ma siamo ancora lontani da una vera legge restrittiva.

Per il momento non resta che battere le mani al canale Rai Yo Yo, che non trasmette pubblicità.

 

Foto: © Donnie Ray Jones

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