Quello che i bambini non dicono (a tavola)

Quello che i bambini non dicono (a tavola)

Quando un bambino rifiuta il cibo – sì, proprio quello buono che avevamo preparato con tanta cura – e chiede di mangiare sempre le stesse cose, noi genitori reagiamo in modo diverso: c’è chi si arrabbia, chi prova a insistere gentilmente, chi si offende e chi lascia perdere e passa subito al piatto alternativo.

E I BAMBINI? COME SI SENTONO IN QUEI MOMENTI?

Loro sono piccoli e spesso non sanno spiegare la tempesta emotiva che hanno dentro e che semplificano con un banale “non mi piace”.  Non cadiamo nell’errore di rispondere: “ma se non hai nemmeno assaggiato…”. Quel “non mi piace” ha un significato diverso, che non ha nulla a che vedere col sapore.  Io mi sono fatta l’idea che se i bambini potessero tradurre le emozioni in un pensiero articolato, ci direbbero almeno una delle frasi seguenti:

Cara mamma, caro papà,
quando è ora di mangiare, certe volte ho paura. Ho paura delle cose nuove, perché non so che effetto mi faranno in bocca. Come faccio a mettere “dentro” una cosa che potrebbe essere cattiva o avere una consistenza spiacevole? Come devo reagire se succede? Posso sputare se non mi piace? Mi promettete che non mi sgriderete?    

Quando mi riempite il piatto, il cibo non mi sembra più cibo, mi sembra un compito da fare, una montagna ripida da scalare. Ho paura di sentirmi pieno, di non avere più voglia di andare avanti. Ho paura che quello che era buono, all’improvviso diventi cattivo. Se succede, voi cosa farete? Farete la faccia scocciata e io mi sentirò cattivo, sbagliato, stupido. Non voglio deludervi.

I sapori, anche quelli buoni, mi stufano. Se l’altro giorno quel piatto mi è piaciuto, datemelo ancora, ma non datemene tanto. Lasciatemi libero di prenderne un po’ e poi di chiederne ancora se ne vorrò. A me piacciono le porzioni piccole; poi, quando avrò finito, magari ne chiederò ancora. Posso provare a servirmi da solo?

Certi colori hanno un brutto aspetto. Se la minestra è verde scura o marrone, non la voglio. E poi io devo riconoscere quello che mangio, i miscugli mi confondono. Ci sono tanti passati di verdura con colori più belli. Proviamo a farne uno arancione?

Io so che avete letto che bisogna assaggiare un piatto almeno cinque o dieci volte per capirne davvero il sapore, ma è inutile dirmelo sempre. Magari lo assaggerò di nuovo, ma lasciate passare qualche mese, datemi tempo.

Quando vi sento tesi e arrabbiati, o distratti dai vostri problemi, io non ho voglia di stare seduto. Parliamo serenamente, scherziamo insieme. Magari quello che "non mi va giù" è la tensione che sento nell'aria. Giochiamo alla pace, almeno quando siamo a tavola.

Se vi dico “non mi piace”, a volte non ce l’ho col sapore: quello che mi dà fastidio magari è solo la consistenza. Perché non mi proponete di annusare, prima di mettere in bocca? Magari il profumo mi farà cambiare idea. E poi sono stufo di pappette, datemi anche qualcosa di croccante.  E smettetela di imboccarmi, ormai sono grande.

Se quei sapori che voi trovate buonissimi per me sono cattivi, non guardatemi con quella faccia che sembra voler dire “mio figlio è stupido”.

Non mi dite: “che cosa vuoi mangiare?”. Per evitare problemi, io non posso che chiedervi sempre le stesse cose. Se volete farmi scegliere, pensate a due piatti e chiedetemi se voglio questo o quello.

Ogni tanto, trovate il tempo per cucinare con me: se il cibo lo vedo, lo tocco, lo maneggio, lo annuso, forse a poco a poco mi farà meno paura.

-   Quando mi prendete in giro, mi etichettate con aggettivi antipatici o mi dite che altri bambini sono bravi e mangiano tutto, mi sento ferito e solo, mi detesto perché so che vi deludo. Ma non posso fare nulla per cambiare le cose.

Non proponetemi premi o ricompense se mangio quello che non mi piace: voglio imparare a fare le cose perché hanno senso, non per ottenere qualcosa in cambio.

Non rinunciate mai a farmi scoprire il cibo, ma fatelo più serenamente. Perché non facciamo una gita in campagna? Magari in una bella fattoria?

Non mi date cibi golosi solo per farmi mangiare “qualcosa”: se fate così non mi state aiutando a risolvere il mio problema, vi state solo arrendendo.

-  Ho bisogno della vostra fiducia. Ditemi che prima o poi ce la farò; anzi, ditemi che ce la faremo.

bambini e cibo

© carbonNYC
foto in evidenza: © Lars Plougman

 

Leggi anche: Essere genitori a tavola. I “trucchi” che non funzionano

 

di Federica Buglioni

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